Il Potere delle Parole: come il linguaggio influenza l'inclusione di genere nelle istituzioni

04.10.2024

Il linguaggio è uno strumento potente e, come tale, riflette e modella la realtà sociale e culturale. Nel contesto politico-istituzionale, il linguaggio non solo veicola le idee e i progetti, ma è anche un segnale di inclusione o esclusione. Per lungo tempo, le istituzioni sono state dominate da una narrazione al maschile, dove il ruolo della donna è stato marginalizzato sia nelle parole che nei fatti. Oggi, però, è essenziale che la politica si apra a una visione più inclusiva, in cui il linguaggio di genere diventi un elemento centrale del dibattito pubblico e della prassi istituzionale.

Le parole non sono neutre: esse veicolano significati e valori. Quando la società viene declinata esclusivamente al maschile, si perpetua l'idea che la sfera pubblica appartenga principalmente agli uomini, e che le donne abbiano un ruolo secondario o subordinato. Parlare di "sindaco" anziché di "sindaca", di "ministro" anziché di "ministra", o usare espressioni generiche come "i cittadini" senza considerare la presenza femminile, contribuisce a rendere invisibile la donna nelle istituzioni.

L'adozione di un linguaggio di genere inclusivo è quindi un atto simbolico, ma anche politico. È un modo per riconoscere che le donne non sono ospiti nelle istituzioni, ma parte integrante di esse, con un ruolo paritario rispetto agli uomini. Questo cambiamento linguistico, sebbene a prima vista possa sembrare marginale, è invece fondamentale per scardinare le logiche maschiliste che ancora dominano molte dinamiche istituzionali e sociali.

La presenza femminile nelle istituzioni è un fattore chiave per la costruzione di una società più equa e giusta. Negli ultimi decenni, le donne hanno acquisito maggiore visibilità in politica e nei ruoli di potere, ma la strada verso una rappresentanza paritaria è ancora lunga. Secondo diversi studi, una maggiore presenza di donne nei luoghi decisionali porta a politiche più inclusive e a un'attenzione maggiore verso temi come la parità di genere, il welfare, l'educazione e la salute.

La politica, però, non deve limitarsi a garantire una quota di donne nelle istituzioni: è necessario che esse siano messe nelle condizioni di esercitare il loro ruolo con la stessa autorevolezza e dignità riservate ai colleghi uomini. Questo significa anche combattere le dinamiche maschiliste che spesso caratterizzano gli ambienti di potere, dove atteggiamenti di arroganza e prevaricazione escludono o minimizzano il contributo femminile.

Le dinamiche maschiliste non si manifestano solo nel linguaggio, ma si traducono anche in prassi concrete che tendono a escludere le donne dai processi decisionali. In molti contesti, infatti, le donne che riescono a ottenere posizioni di potere sono ancora oggetto di pregiudizi e stereotipi. Vengono percepite come meno competenti o autorevoli rispetto agli uomini, e spesso sono costrette a dimostrare il loro valore in maniera più dura rispetto ai colleghi maschi.

Un esempio emblematico è rappresentato dalla pratica di sminuire o interrompere le donne durante le discussioni, un comportamento noto come "manterrupting", che non solo ne ostacola la partecipazione attiva, ma le relega a un ruolo di spettatrici passive. Questi atteggiamenti devono essere combattuti non solo attraverso politiche di inclusione, ma anche con un cambiamento culturale profondo che passi, ancora una volta, attraverso il linguaggio.

La lotta per una maggiore inclusione delle donne nelle istituzioni deve dunque partire dal linguaggio. Parlare di "ministre", "sindache" e "presidente" al femminile non è un mero esercizio grammaticale, ma una scelta politica che segna un cambiamento di prospettiva. Non si tratta solo di rendere visibile ciò che già esiste, ma di contribuire a creare una nuova cultura politica in cui uomini e donne abbiano lo stesso diritto di essere rappresentati e ascoltati.

Promuovere un linguaggio di genere inclusivo nelle istituzioni significa anche educare le future generazioni a una visione più paritaria della società. I giovani e le giovani di oggi saranno i cittadini e le cittadine di domani, e se crescono in un contesto in cui il linguaggio riflette la parità di genere, sarà più facile per loro immaginare un mondo in cui uomini e donne lavorano fianco a fianco, con pari dignità e responsabilità.

La battaglia contro il maschilismo nelle istituzioni passa anche, e soprattutto, attraverso il linguaggio. Adottare un linguaggio di genere inclusivo non è solo una questione formale, ma un modo per riconoscere il valore e il contributo delle donne alla vita politica e sociale. In un mondo in cui le disparità di genere sono ancora evidenti, il linguaggio diventa un campo di battaglia cruciale per la costruzione di una società più giusta e inclusiva, dove il potere non è più appannaggio di pochi, ma patrimonio condiviso di tutti e tutte.


Elisabetta Mazzarri